Le ipotesi sugli estimi e il ritorno dell'imposta comunale
La vicenda delle rendite catastali in Italia assomiglia a quella di chi lavora: ogni anno slitta il termine del pensionamento. Per la riforma della fiscalità immobiliare, da cui sortirà un aumento delle imposte, bisognerà fare i conti con il sistema cervellotico ancora in vigore per la definizione dei valori imponibili; qualsiasi altra soluzione si scontrerebbe con la necessità di fare cassa in tempi brevi.
Le rendite catastali nascono per indicare il valore teorico di un immobile locato per un anno; se una casa ha una rendita di 1.000 euro, in teoria dovrebbe consentire al proprietario di ricavare 1.000 euro di affitto. La rendita è stata introdotta come artificio per far pagare l'Irpef sulla casa, con un ragionamento abbastanza contorto: se la tua casa ha un affitto teorico di 1.000 euro te lo tasso come reddito, perché sono soldi che risparmi e quindi che guadagni. Se nella casa il proprietario ha la residenza oggi non si paga Irpef. Stando a quanto dichiarato da Monti nel discorso con cui ha richiesto la fiducia, l'esenzione dovrebbe mantenersi, perché ha parlato di tasse sulla proprietà mentre l'Irpef è un'imposta sul reddito.
Imposta comunale sugli immobili
Quello che invece appare certo è il ritorno dell'Ici anche sull'abitazione principale. Il calcolo dell'imposta formalmente avviene sul valore e non sulla rendita catastale. Il valore catastale di un immobile però si stabilisce sempre partendo dalla rendita e moltiplicandola per 105. Aver introdotto il concetto di valore fa capire perché l'Italia è considerata la culla del diritto e anche del cavillo giuridico. L'Irpef può arrivare a toccare un livello del 45% rispetto alla rendita, se l'Ici fosse calcolata sulla rendita potrebbe arrivare addirittura al 90%: sommando i due valori, si ottiene 135% e si violerebbe il principio che le imposte non possono mai superare il valore del bene su cui si applicano. Di qui la necessità di diversificare formalmente le modalità di calcolo. Sulle abitazioni non di lusso l'Ici sulla prima casa non si paga più dal 2008; l'imposta è di impianto squisitamente federalista, perché ogni Comune ha facoltà di deliberare l'aliquota da applicare in una forchetta che va da 2 al 9 per mille e gli sconti legati al tipo di immobile o al reddito del contribuente. Il dubbio è capire se il governo intenderà dare indicazioni più stringenti su questi aspetti, limitando i margini discrezionali dei municipi. E soprattutto se la base di calcolo dell'imponibile sarà quella dei valori attuali o se invece avverrà su estimi aumentati.
Progressività
Tra le anticipazioni circolate c'è anche quella di un modello di imposizione progressiva: in pratica, più case si hanno, più in proporzione si dovrebbe pagare, analogamente a quanto già avviene con i redditi. Dal punto di vista teorico potrebbe funzionare sommando i valori immobiliari complessivi detenuti da un contribuente o considerando il numero di immobili posseduti, prevedendo prelievi proporzionalmente crescenti. C'è però un problema di non poco conto: di ogni singolo immobile bisognerebbe considerare non solo il valore ma anche l'utilizzo (se si ha una seconda casa un conto è se la usa un figlio, un altro se la tiene vuota, un altro ancora se la si affitta). Il fisco è in grado di sapere di ogni contribuente quanti immobili possiede e, sulla scorta delle dichiarazioni fiscali, anche che uso ne fa. Ma i controlli rischiano di essere complicati da svolgere e il rischio è quello di contenziosi a non finire.
Il valore reale
Quando si afferma, come ha fatto anche il presidente del Consiglio, che l'imposizione immobiliare è particolarmente bassa in Italia non ci si riferisce solo alle aliquote a cui vengono effettuati i prelievi e alla grande quantità di proprietari esentati. Il problema è anche un altro: la scarsa coerenza tra valori fiscali e valori reali. Per dimostrarlo non c'è bisogno di fare acrobazie matematiche, basta prendere i dati dalla medesima fonte, che è poi quella ufficiale, cioè l'Agenzia del Territorio. Dalle ultime pubblicazioni dell'Agenzia si desume che il valore complessivo di mercato delle case in Italia è di 5.442 miliardi di euro e quello fiscale di soli 1.640 miliardi di euro, e quindi rappresenta solo al 30% la realtà. Ci sono però città come Venezia e Palermo dove il fisco valuta in media gli appartamenti meno di un quinto rispetto al mercato. A Roma l'imposizione fiscale avviene sul 27,6% del valore, a Milano sul 32,5%. Un adeguamento che porti l'imponibile fiscale a ridosso dei prezzi reali non è ovviamente praticabile, ma la strada di un adeguamento automatico (tra il 10% e il 20%) e indifferenziato appare probabile, anche perché basta una riga di decreto e l'introito è sicuro.
Gino Pagliuca