Il «delirio Imu» è in pieno svolgimento. A denunciarlo è il sistema dei Caf, che gestisce circa l’82% del flusso finanziario diretto alle casse dell’erario. Un nodo dietro l’altro, la cui soluzione è arrivata sempre troppo tardi, creando caos e smarrimento. Ieri persino il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi ha lanciato un grido d’allarme.
«L'incertezza sull'ammontare dell'Imu - ha detto intervenendo al seminario del Centro Studi - sta terrorizzando le famiglie e sta frenando la spesa». Non solo non si sa quanto si paga, ma neanche come si paga. Il Paese dei proprietari di casa (cosa che l’Italia è sempre stata) è allo sbando.
Tanto che cominciano a diffondersi voci (del tutto infondate) di un possibile slittamento del termine per il versamento del primo anticipo, fissato per il 18 giugno. «Credo che avendo deciso per tre rate - dichiara Mauro Soldini, responsabile dei Caf Cgil - il governo non aprirà sullo slittamento».
Finora lo scenario visto dagli sportelli Caf è stato questo. Ben tre milioni di persone sono dovute tornare due volte nello stesso ufficio a marzo scorso, per via delle modifiche intercorse nel frattempo che hanno modificato il primo calcolo, già abbastanza complicato dal moltiplicatore delle rendite (tre rate al posto di due, decisione di versare solo l’aliquota minima nei primi due acconti e poi fare il conguaglio a fine anno).
Oggi un’altra valanga di contribuenti ha fatto tappa prima ai Caf, poi in banca, e poi è tornata ai Caf. E non per un giro turistico, ma per una serie infernale di fraintendimenti e ritardi nelle disposizioni. In sostanza appena due settimane fa l’Agenzia delle Entrate ha inviato una circolare al sistema bancario, chiedendo di indicare nel modulo F24 la rata del versamento.
Peccato che la stessa indicazione non sia arrivata ai Caf. Risultato: i contribuenti si sono presentati in banca con l’F24 senza indicazione della rata, e le banche li hanno rifiutati. Così sono tornati indietro. Solo dopo che gli uffici sono stati letteralmente presi d’assalto, l’amministrazione ha pensato bene di informare gli intermediari che potevano accettare moduli con o senza l’indicazione della rata.
Per un sistema che gestisce tra i 17 e i 18 milioni di dichiarazioni fiscali, di cui circa 14 includono anche l’Imu, una vicenda di questo tipo equivale a un terremoto. «In tutto questo abbiamo anche dovuto affrontare i tagli del Salva-Italia - continua Soldini - che ci ha sottratto il 23% del contributo ministeriale per il servizio che offriamo. Abbiamo dovuto ridurre le sedi, creando ancora più disagi ai cittadini».
Ma il disagio maggiore, per i tecnici chiamati a elaborare le dichiarazioni, è il ritardo nelle comunicazioni delle Entrate. «Un esempio? Le circolari per l’attuazione dell’Irpef sono state emanate 2 settimane fa - spiega Soldini - Anche le spiegazioni sulla cedolare secca chieste 9 mesi fa sono arrivate adesso. Oggi ci ritroviamo con la scadenza Imu e con quella del 730 che scade il 30 giugno, e siamo a ranghi ridotti».
La preoccupazione più diffusa riguarda l’ammontare complessivo che si dovrà pagare, visto che i Comuni hanno tempo fino a settembre per decidere le aliquote (ma alcuni hanno già deliberato) e il governo può ulteriormente modificare entro il 10 dicembre, se il gettito non sarà quanto previsto.
Un vero meccanismo infernale. In questo scenario le domande dei contribuenti si accavallano. Per esempio: i cittadini di un Comune che ha già deliberato, quanto devono versare come primo acconto? Anche loro possono considerare l’aliquota base del 4 per mille, e poi rinviare il conguaglio a fine anno.
Cosa accade se si è acquistata un’abitazione ad esempio nella prima metà di aprile? Semplice: il venditore pagherà la somma equivalente per tre mesi (totale diviso 12 per 3), cioè fino a marzo, e l’acquirente per nove mesi. Se per il venditore si tratta di una seconda casa e per l’acquirente della prima, le aliquote saranno differenziate: al primo si applicherà quella maggiorata, al secondo quella inferiore.
L’altro quesito molto frequente riguarda il «destino» di chi paga in ritardo. Qui il meccanismo è complicato. La sanzione massima è il 30% del dovuto. Se il ritardo non supera i 15 giorni (cioè entro il quattordicesimo giorno dal 18 giugno) la sanzione (che viene inviata con apposita lettera dall’amministrazione) è pari a un quindicesimo del 30% della somma che si deve pagare.
Su mille euro, quindi equivale al 2% per il primo giorno, il 4 per il secondo e così via. Se c’è un ravvedimento, cioè il contribuente paga in ritardo e vuole pagare contestualmente anche la sanzione, nei primi 15 giorni la penale diminuisce di un decimo. Dunque, per un giorno di ritardo si versa lo 0,2% in più, al 14esimo giorno si arriva al 2,8%.
La differenza rispetto al primo caso è che si paga tutto insieme, imposta e sanzione, senza attendere la «cartella» dell’amministrazione. Dal 15esimo al 30esimo giorno di ritardo con ravvedimento si paga il 3% in più e dal 31esimo a un anno, sempre con ravvedimento, il 3,75% in più. In questo caso sull’F24 si deve barrare la casella «ravvedimento».
Senza ravvedimento, oltre il 14esimo giorno la penale è il 30%. Oltre la penale, in caso di ritardo si devono pagare gli interessi pari al 2,5% annuo, che si divide per 365 e si moltiplica per i giorni di ritardo. L’interesse si applica alla sola imposta e non alla penale. Su tutto questo, poi, si abbatte anche la querelle politica.
Ieri Daniela Santanchè ha riproposto una sorta di «sciopero», ed è stata ripresa da Osvaldo Napoli del suo stesso partito. Poi c’è il Codacons che ha fatto ricorso al Tar. E se passasse la sospensiva?
Di Bianca Di Giovanni